Qual è il flebile confine che separa un gioco da un’opera d’arte? Se ne è molto discusso negli ultimi tempi: c’è chi sostiene che tale confine non esista, in quanto “tutti i videogiochi sono opere d’arte” e chi invece si immagina una linea distinta e ben marcata, sbandierando l’idea che “i videogiochi non posso essere arte”, c’è poi chi ha un’idea meno estremista e a metà fra le due.
Indipendentemente da chi abbia ragione, ci sono giochi che, se proprio non possono essere considerati artistici, sono almeno in grado di rendere evanescente il suddetto confine, perfino per chi si ostina a separare categoricamente arte e videogiochi. Uno di questi è The Town of Light.
Una definizione generale (anche se piuttosto limitativa e semplicistica, ma pur sempre una definizione) di opera d’arte può essere la comunicazione di un messaggio che stimoli sensibilità emotiva e capacità interpretative del ricevitore. The Town of Light in questo riesce alla perfezione. Non è quindi un caso che un gioco proveniente dall’Italia, patria di arte e cultura, sia finito, ancor prima del suo lancio ufficiale, in musei oltreoceano.
The Town of Light poi più che un gioco è un film interattivo in grado di spezzare la quarta parete, una storia da seguire, da vivere e da interpretare. Ed è proprio sotto questo punto di vista che tratteremo il gioco, in quanto sarebbe estremamente stupido e controproducente lamentarsi di un gameplay troppo poco profondo o di una longevità troppo bassa. Perciò chiariamolo ora e non torniamoci più su: The Town of Light è un gioco semplice con meccaniche di gioco semplici e poco divertenti e dura solo poche ore, ma, se tralasciamo questi aspetti (ovvero quelli che ancora possono legarlo al mondo dei videogiochi), ciò che ne rimane è arte.