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Contesto e trama
Volterra, 12 marzo 1938. Renée, una ragazzina di 16 anni viene internata in un manicomio. Questo è l’incipit della drammatica storia raccontata da The Town of Light, storia basata su fatti reali e ambientata in un contesto reale. Prima di parlare della trama ci sembra quindi dunque parlarvi un po’ del contesto, sul quale ci siamo documentati: l’anno in cui Renée venne internata si trova all’interno di un periodo molto buio per l’ospedale psichiatrico di Volterra: dopo la morte del direttore Luigi Scabia, avvenuta nel 1934 l’ospedale dovette affrontare un susseguirsi di Amministrazioni Straordinarie, fino alla fine degli anni 40′, caratterizzate da problemi gestionali e sotto le quali i pazienti e le loro condizioni di vita furono molto trascurate. Anche la guerra non contribuì: il crollo dei pazienti e la mancanza dei fondi peggiorò ulteriormente le condizioni salutari degli internati.
In questo difficile ambiente si ritrova abbandonata, con la sola compagnia della sua bambola Charlotte, Renée, una giovane ragazza afflitta da un grande tormento interiore, amplificato dalla sua instabilità mentale. Un vero thriller psicologioco in grado di generare empatia, disgusto, paura, orrore e tristezza. Poiché la trama, anche se complessa e molto ricca, è piuttosto breve, preferiamo non raccontare niente degli ostacoli che Renée dovrà affrontare, per evitare spolier. Inoltre l’evolversi della vicenda dipenderà dalle scelte del giocatore, perciò preferiamo non approfondire oltre.
Il gioco non è però ambientato nel 1938, ma ai giorni nostri, in un manicomio ormai decrepito e abbandonato. Visitando i ruderi dell’edificio e attraversando i corridoi in rovina e le stanze in disuso verremmo pian piano a conoscenza della storia di Renée, anche attraverso alcuni flashback. Ma mentre avanzeremo la realtà si fonderà pian piano con i ricordi e i ricordi si fonderanno con la finzione, fino a che i confini fra passato e presente, fra vero e falso e fra sanità e follia non diventeranno molto flebili.
Saranno molte le domande che sorgeranno durante il gioco, domande a cui non sarà fornita una chiara risposta, ma toccherà alla vostra interpretazione: cos’è realmente accaduto e cosa invece è frutto della mente confusa ed instabile di Renée? Charlotte è una semplice bambola o ha un significato più profondo? Qual è l’identità misteriosa del personaggio interpretato dal protagonista e che relazione ha con Renée?
L’esplorazione del manicomio si tramuta da prima in un’esplorazione dei propri ricordi e poi in un’esplorazione di se stessi e della propria identità, fino a che tutto non sprofonda nella Luce che avvolge ogni cosa.
Un ambiente realistico
Altro punto di forza del gioco è il comparto grafico: vi basterà guardare qualche foto reale e qualche immagine di gioco per rendervi conto di come gli sviluppatori siano riusciti a ricreare fedelmente l’edificio abbandonato dell’ex ospedale psichiatrico e la flora e gli spazi tipici del paesaggio toscano.
Il realismo è impressionante e, specialmente nelle primissime ore di gioco, vi ritroverete spesso a trascurare per un momento la narrazione per ammirare qualche particolare effetto di luce o perché impressionati dall’enorme numero di dettagli presenti.
L’uso delle luci è splendido e funzionale alla narrazione: nelle zone più scure dell’ospedale, dove sarà addirittura necessario accendere la torcia per proseguire, si nascondono i ricordi più cupi. Grazie alle luci è anche marcata la netta differenza fra l’esterno dell’ospedale, luminoso e colorato, e l’interno, sempre buio o in penombra e grigio.
Ma non è questo l’unico modo in cui i ragazzi di LKA si sono serviti del comparto grafico per migliorare l’esperienza narrativa: ad esempio la dimensione del ricordo è caratterizzata, oltre che dal bianco e nero, da una cura dei dettagli minore, specie nelle facce delle altre persone che spesso non hanno le pupille o hanno i lineamenti del viso poco definiti, proprio a simboleggiare il degrado, dovuto al tempo, dei ricordi, che ormai appartengono ad un passato lontano.
Anche il comparto audio aiuta il procedere della narrazione e l’immedesimazione del giocatore: i corridoi sono ancora carichi delle angosce e delle paure degli internati, che nella loro follia, gridano e bisbigliano, creando un’atmosfera carica di tensione. I bisbigli si fanno più forti quando qualcosa sta per accadere, e quando il giocatore si renderà conto di questa meccanica, non solo sarà in grado di farsi guidare da questi bisbigli per percorrere la strada giusta, ma la sua ansia salirà quando questi si intensificheranno. L’alternanza di colonne sonore, bisbigli e silenzi veicolerà le sensazioni del giocatore, mettendole in sintonia con quelle di Renée.
**Il titolo è stato giocato su PC a dettagli “Alti” con la seguente configurazione: SO: Windows 10 a 64bit; CPU: Intel i5-4590 @ 3,30 GHz; RAM: 8,00 GB; GPU: NVIDIA GeForce GTX 750**
Gameplay e comparto tecnico
Ok, nella parte precedente della recensione avevamo detto che non ne avremmo parlato, ma siamo pur sempre su un sito di videogiochi no? In ogni caso non ci dilungheremo troppo: la struttura è quella di un punta e clicca in prima persona, con pochissimi comandi: sarà possibile solo muoversi, guardarsi intorno, accendere e spegnere la torcia e toccare un oggetto per ispezionarlo. Non è possibile prendere oggetti e riusarli o combinarli per crearne uno nuovo. Tuttavia pure l’assenza di un gameplay profondo ha un suo perché: permette infatti di lasciare spazio all’esplorazione, sia fisica che mentale, e alla narrazione, componenti fondamentali del gioco.
Unica nota dolente è invece il comparto tecnico, che presenta caricamenti frequenti ed eccessivamente lunghi.
In conclusione
The Town of Light ha una storia difficile da raccontare e lo fa senza mezzi termini e affrontando la realtà in maniera cruda e diretta. Il gioco è consigliato ad un pubblico maturo, non tanto per la presenza di scene turbanti, quanto per l’enorme spazio che viene lasciato all’interpretazione, che si basa su conoscenze ed esperienze personali. Perciò un bambino od un ragazzino difficilmente potrebbero apprezzare un titolo del genere.
La scelta di settorializzare il destinatario permette di veicolare il messaggio in maniera più efficace valorizzando, come pochi altri giochi, uno strumento di comunicazione, che è il videogioco, che da sì possibilità pressoché illimitate abbattendo facilmente anche la quarta parete, ma che è estremamente difficile da utilizzare in maniera efficace.
Il risultato finale è “la comunicazione di un messaggio che stimola la sensibilità emotiva e le capacità interpretative del ricevitore” al pari di un film, un quadro o un’opera letteraria. I videogiochi possono essere arte? Non sta a noi rispondere, ma giocare The Town of Light potrebbe mutare profondamente il vostro giudizio.