The Evil Within • Recensione

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Intrappolati in un lugubre istituto di cura mentale, in balia di oscuri eventi, i giocatori si dovranno fare strada tra non morti e creature ben peggiori per cercare di comporre l’intricato puzzle che gli si para davanti nei panni di Sebastian Castellanos, detective della polizia di Crimson City ombroso e tormentato, coinvolto suo malgrado in una spirale di eventi che di normale non ha nulla.

The Evil Within, prodotto dal prolifico incontro tra Bethesda e la casa sviluppatrice Tango Gameworks, è il risultato di un connubio tra action moderno e dinamiche classiche survival horror, uno storytelling ben congegnato ed un reparto grafico/sonoro in grado di trasmettere efficacemente le atmosfere proposte dalla mente più rappresentativa del progetto: Shinji Mikami, mente dietro la saga di Resident Evil ed in generale icona del genere in questione che ha tentato con questa ip di costruire qualcosa di diverso su vecchie fondamenta per offrire un’esperienza rinnovata.

Saltano all’occhio infatti omaggi e riferimenti, in termini di design di livelli e nemici, a titoli precedenti oltre che alla cinematografia occidentale iconica del genere e l’immaginario mitologico tradizionale giapponese che da sempre hanno influenzato il lavoro di Mikami.

Attraverso gli occhi del protagonista la vicenda ci viene svelata a piccoli e confusi passi lasciando al giocatore il compito, ovvero la possibilità, di congetturare liberamente tra salti spaziali e cronologici inaspettati, che consentono anche un’ interessante diversificazione degli ambienti proposti, spaziando tra metropoli in rovina, tetre cripte e costruzioni mutevoli o paradossali.

Un comparto sonoro ben curato insieme agli effetti legati all’illuminazione fioca e parziale rendono possibile immergersi efficacemente considerando poi un buon livello di cruenza visiva, nota spesso gradita se non fondamentale.

Per quanto concerne il gameplay è facile individuare gli elementi di novità rispetto alle produzioni precedenti di Mikami, ad esempio la possibilità di approcciare gli ostacoli in maniera più circospetta per compiere uccisioni silenziose ai danni di nemici ignari, meccanica dosata con attenzione e spesso lasciata alla scelta del giocatore anche se imprescindibile in alcune fasi di gioco data la particolare attenzione posta al razionamento delle munizioni disponibili.

Viene introdotta anche una barra dell’energia fisica che si esaurirà scattando per fuggire, e che se dosata male costringerà il giocatore ad una impietosa immobilità momentanea.

Le trappole incontrate inoltre si possono ritorcere contro gli avversari nella maniera più classica oppure si può tentare, talvolta rischiando di subirne gli effetti, di disattivarle per ottenere componenti meccanici. Questi sono infatti necessari per fabbricare specifiche munizioni tramite un ruvido sistema di crafting, per un consistente vantaggio tattico.

In parte penalizzante la rosa delle armi limitata, pur se coerente con il concetto survival e in parte bilanciata dalla possibilità di potenziare equipaggiamento ed abilità in cambio di un misterioso gel verde sparso per gli scenari in barattoli o acquisibile come loot dai nemici sconfitti, così come munizioni e medikit.
Parzialmente discutibile è anche la caratterizzazione dei personaggi, non troppo approfondita ed a tratti stereotipata.

Nel complesso la curva di difficoltà è bilanciata e The Evil Within offrirà una sfida quasi sempre all’altezza, ma senza mai diventare frustrante, tenendo il giocatore sulle spine e lasciandolo nel cruciale desiderio di capire cosa accadrà inoltrandosi sempre più nel perverso mondo che gli si para intorno. In definitiva chiunque sia legato ai survival horror più classici si troverà a suo agio in questo nuovo universo a cui Mikami ha conferito toni e temi più tetri e maturi del solito senza nulla togliere al divertimento e alla giocabilità.